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Integrazione al trattamento minimo: cambia tutto, attenzione ai limiti di reddito

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Antonia Festa

Per ricevere l’integrazione al trattamento minimo sulla pensione è necessario rispettare delle specifiche soglie reddituali. Ecco a quanto ammontano per il 2024.

L’integrazione al trattamento minimo delle pensioni INPS è una misura di sussidio ai pensionati che versano in condizioni di bisogno.

Alcuni pensionati hanno diritto all’integrazione al trattamento minimo – Foto Canva (cityzen.it)

Spetta ai titolari di assegno pensionistico che percepiscono una prestazione di importo eccessivamente basso. Grazie all’integrazione, dunque, la pensione raggiunge una determinata cifra, fissata dalla legge, di anno in anno, come “minimo vitale“.

Per il 2024, la soglia è pari a 598,60 euro al mese per 13 mensilità, cioè 7.781,93 euro annui. Tale importo, tuttavia, cambia ogni anno, a seconda dell’aumento del costo della vita.

La legge prevede dei requisiti per poter usufruire dell’integrazione al minimo, relativi al reddito totale percepito dal pensionato e alla composizione del suo nucleo familiare. Vediamo quali sono e quando si rischia di perdere il diritto al beneficio.

Integrazione al trattamento minimo delle pensioni: le condizioni per ottenerla

Possono essere integrate al trattamento minimo le: pensioni di vecchiaia, pensioni anticipate, pensioni di anzianità, pensioni ai superstiti, pensioni dei Fondi speciali per i lavoratori autonomi e le pensioni dei Fondi esclusivi e sostitutivi dell’Assicurazione Generale Obbligatoria.

Per l’integrazione al minimo bisogna rispettare determinati requisiti reddituali – Foto Canva (cityzen.it)

Sono escluse le pensioni supplementari e quelle calcolate con il solo sistema contributivo. Se, invece, si percepiscono due pensioni, una diretta e una di reversibilità, l’incremento si applica solo sulla pensione diretta.

Ma in che modo viene riconosciuta l’integrazione al trattamento minimo?

Per le pensioni pagate dopo il 1994, nel caso in cui il pensionato non sia coniugato, spetta:

  • l’integrazione piena, se il reddito personale non supera i 7.781,93 euro;
  • l’integrazione parziale, se il reddito personale è superiore a 7.781,93 euro ma inferiore a 15.563,86 euro. Se si supera quest’ultima soglia, non si percepisce alcuna cifra.

Se, invece, il pensionato è coniugato, si ha diritto:

  • all’integrazione piena, se il reddito personale non è superiore a 7.781,93 euro e se il reddito totale coniugale non supera 23.345,79;
  • all’integrazione parziale, se il reddito personale non supera 15.563,86 e quello coniugale non oltrepassa la soglia di 31.127,72 euro.

Oltre all’integrazione al trattamento minimo, per aumentare l’importo delle pensioni è possibile richiedere anche la maggiorazione sociale che, però, necessità di uno specifico requisito anagrafico.

La maggiorazione spetta ai pensionati titolari di un assegno di importo molto basso che hanno compiuto almeno 60 anni. Possono ottenerla anche gli invalidi civili, i ciechi e i sordomuti.

L’incremento delle pensioni tramite la maggiorazione sociale varia in base all’età posseduta. Nel dettaglio:

  • con 60 anni di età spetta un importo mensile di 624,44 euro;
  • con 65 anni di età spettano 681,25 euro al mese;
  • con 70 anni di età si ha diritto a 723,05 euro al mese.
Antonia Festa

Sono una giurista, grande appassionata del mondo classico, di letteratura, politica, musica, teatro e cinema, divoratrice di serie TV. Sono socia di una compagnia di teatro amatoriale e ho curato la sezione 'Intrattenimento' per un giornale online, recensendo film e spettacoli televisivi e teatrali. Attualmente, lavoro come web content writer, occupandomi soprattutto di temi di natura previdenziale ed economica, che mi permettono di coltivare e approfondire il mio interesse per il diritto.

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